Chi non conosce Emily, l’affascinante e malinconica Sposa Cadavere del film di animazione diretto da Tim Burton? Forse più o meno tutti avranno visto (e rivisto) l’iconico film d’animazione del 2005 o, quanto meno, ne avranno sentito parlare, no?
La sposa cadavere, il film d’animazione diretto da Tim Burton
Nel film, il giovane Victor Van Dort si trova coinvolto nell’imminente celebrazione di un matrimonio combinato con Victoria Everglot, un’unione stipulata più per ragioni economiche e sociali che per amore. Mentre le due famiglie, gli aristocratici Everglot e i ricchi mercanti Van Dort, cercano di consolidare la loro posizione economica (nel primo caso) e sociale (nell’altro) attraverso questo legame, i giovani promessi sposi si incontrano per la prima volta e, stranamente, la scintilla dell’amore scocca tra i due, ribaltando le aspettative.
Tuttavia, il giorno della cerimonia è un vero incubo per Victor; nervoso e impacciato, non riuscendo a pronunciare i voti nuziali, fa sì che il matrimonio venga interrotto. Dispiaciuto per l’accaduto, decide di ritirarsi in solitudine per imparare alla perfezione il giuramento. Nella foresta, alla ricerca di ispirazione, pronuncia la promessa matrimoniale inserendo l’anello in un ramo contorto, senza sapere che si tratta di una mano scheletrica.
La terra si agita, e dal suolo emerge il cadavere di una giovane donna in un logoro abito nuziale. Terrorizzato, Victor cerca di fuggire, ma viene inseguito dalla defunta sposa fino a essere trascinato nel mondo dei morti. Da questo punto, la trama si intreccerà tra il regno dei vivi e quello dei morti, portando Victor in un viaggio inaspettato che metterà alla prova il suo coraggio e le sue scelte.
Una leggenda ebraica del XVI secolo e le sue variazioni alla base del soggetto del film
Tim Burton, per il suo film, si è chiaramente ispirato a una leggenda ebraica del XVI secolo, che è stata poi rimaneggiata negli anni (ne esisterebbe una versione russa del XIX secolo):
Una sera, nell’antica città di Safed, tre ragazzi (il più grande dei quali, che aveva nome Reuven, si sarebbe dovuto sposare l’indomani con una bella e ricca fanciulla) uscirono a fare due passi. Poiché c’era il plenilunio i tre amici, in preda all’euforia, si spinsero nella foresta che cingeva la città. Ad un certo punto uno di loro notò qualcosa di strano che sporgeva dalla terra, qualcosa grande quanto un dito. Pensarono fosse una radice, ma avvicinandosi notarono che era un dito mummificato. Uno di loro scherzando disse: «Chi di noi oserà mettere l’anello nuziale a questo dito?», e Reuven, il futuro sposo, rispose che lo avrebbe fatto lui, visto che sarebbe stato il primo a sposarsi. Detto questo, egli si tolse l’anello e l’infilò a quel dito, pronunciando, mentre lo faceva, le parole Harai at m’kudeshes li («Sei la mia promessa sposa») per tre volte, com’era usanza fare. Appena ebbe finito di parlare, il dito cominciò a contrarsi, con grande orrore dei giovani, e poi l’intera mano si allungò dalla terra, contorcendosi, e il terreno cominciò a tremare, come se stesse per aprirsi. D’un tratto il corpo di una donna, con indosso un logoro e lacero sudario, si levò dalla terra, i suoi occhi morti fissarono direttamente quelli di Reuven, e facendo il gesto di cingerlo gli disse con una voce terrificante: «Marito mio!». […]
È possibile leggere un riassunto particolareggiato di questa leggenda all’interno dell’Introduzione di Enrico De Luca ne La sposa cadavere di Friedrich August Schulze, collana Classici Ritrovati Pocket, Caravaggio editore.
La sposa cadavere di Friedrich August Schulze
La sposa cadavere di Schulze è molto diversa da quella della leggenda, ma andiamo con ordine. Die Todtenbraut, questo il titolo originale del racconto tedesco, fa la sua comparsa nel 1811 all’interno della raccolta Das Gespensterbuch (ovvero Il libro dei fantasmi), di Schulze e Apel, e viene poi tradotta in francese nel 1812 (all’interno del volume Fantasmagoriana, ou Recueil d’Histoires d’Apparitions de Spectres, Revenans, Fantômes, etc; Traduit de l’allemand, par un Amateur) da Jean-Baptiste Benoît Eyriès col titolo La Morte Fiancée. Proprio questa versione francese permette al testo tedesco di avere una larga diffusione e di essere conosciuto e poi tradotto in lingua inglese:
«Alcuni volumi di storie di fantasmi tradotti dal tedesco in francese, ci capitarono fra le mani»
scrive Mary Shelley, la giovane autrice di Frankenstein o il moderno Prometeo (Frankenstein; or, The Modern Prometheus), nella prefazione all’edizione del 1831 del romanzo.
Il racconto, costruito alla maniera delle scatole cinesi, si dipana su più livelli narrativi che pongono al centro della narrazione la figura del “ritornante” un defunto che torna dal regno dei morti quasi in carne ed ossa, confondendosi tra le persone vive.
È il caso della sposa cadavere che, lungi dal cercare il vero amore come Emily di Tim Burton, uccisa e abbandonata praticamente all’altare, torna tra i vivi per vendetta e per punire gli uomini che a loro volta non hanno prestato fede alle promesse di matrimonio, poiché stregati dal fascino misterioso di questa donna non più viva.
La sposa cadavere potrebbe essere liberata da questa maledizione: basterebbe soltanto che un uomo rimanesse fedele alla propria futura moglie, ma evidentemente negli anni questo non è mai accaduto, perpetrando così una scia di sposi morti in circostanze misteriose.
L’edizione Caravaggio Editore, con traduzione e cura di Enrico De Luca, è disponibile in libreria dal 15 gennaio ed è annotata e ricca di illustrazioni: se siete curiosi di conoscere sia la leggenda ebraica alla base del film di animazione di Tim Burton che la storia della Sposa cadavere di Schulze, ordinate la vostra copia sullo store di Caravaggio editore, su Amazon, sugli altri negozi online o in libreria.
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