Rispolveriamo un po’ la memoria
Nell’immaginario comune la fata turchina è una donna bellissima, biondissima e vestita di azzurro, che ammaestra il birbante burattino Pinocchio affinché esso diventi un vero (e bravo) bambino. Difatti quasi tutti i bimbi in Italia hanno visto il cartone della Disney che racconta le avventure di Pinocchio. E quasi tutti i bimbi si spaventavano quando Pinocchio si cacciava nei guai. Ma poi c’era lei, la fata, che perdonava ogni sua marachella e allora si poteva anche ridere delle sue birberie! L’immagine della fata appena evocata, però, è molto diversa da quella che vi racconteremo: tratteremo, infatti, della fata turchina originale, quella inventata da Carlo Collodi: una figura di fata non convenzionale.
La figura disney che ha avuto fortuna, quindi, nasconde una figura femminile molto più complessa, ideata da Collodi a fine ‘800 e che troviamo nel suo romanzo «Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino». La Disney creò il cartone Pinocchio a partire da questo romanzo e il cartone uscì nelle sale nel 1940.
Ma quale novità ci racconta la fata di Collodi? E perché mi è apparsa d’un tratto così attraente, tanto da farmi riscoprire la sua figura?
La fata di Collodi riscritta da Manganelli
Riscoprii la favola di Pinocchio durante il periodo universitario, tramite l’autore Giorgio Manganelli. Manganelli, infatti, rilesse la storia di Collodi e ci scrisse un romanzo dal titolo «Pinocchio: un libro parallelo» e riportò alla luce i punti più significativi della fiaba collodiana. Uno di questi punti riguardava proprio la figura non convenzionale della fata turchina. Nel romanzo, infatti, la fata era una non-fata, una fata-strega, una fata-bambina, ma anche una fata-madre, una fata capretta, una fata lumaca. Insomma: era un insieme di figure difficili da riassumere in un unico personaggio.
Caratteristiche della fata di Collodi
La fata turchina di Collodi, dunque, era molto diversa dalla fata disney, a partire dai capelli, che erano azzurri. Lei rappresentava un principio magico mutevole. Questo principio assumeva di volta in volta una forma diversa che simboleggiava la libertà di trasformarsi e la potenza dell’energia creativa. Curioso, non vi pare? Difatti Pinocchio incontrò per la prima volta una «bambina coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto» e questa bambina non poteva soccorrere Pinocchio in pericolo, in quanto era «morta». Si può notare che il primo incontro di Pinocchio con la bambina (che sarebbe la fata) sia stato un incontro con la morte (i burattini non la conoscono!). E Pinocchio doveva necessariamente incontrarla per diventare un bimbo in carne e ossa…
Ma focalizziamoci sulla fata. La bambina è molto diversa dalla fata bionda (e già grande) con il vestito turchese e con una bacchetta scintillante in mano…! A partire dall’incontro con Pinocchio, dunque, la bambina inizierà a trasformarsi in molteplici figure e a cambiare il suo stato apparente. Allora diventava una strega in grado di manipolare le situazioni, o una madre dal potere autoritario («Tu mi ubbidirai e farai sempre quello che ti dirò io.»), o ancora una madre-sorella dal ruolo educativo-affettivo.
Alla fine delle storia la fata arriva addirittura a scomparire. E ricompare soltanto nei sogni di Pinocchio, poco prima che il burattino abbandoni la sua forma di legno per diventare a tutti gli effetti un bambino.
Una nuova chiave di lettura
Ciò che mi colpisce di questa figura camaleontica è la sua capacità di trasformarsi. La fata ideata da Collodi, infatti, non è chiusa in un modello che la definisce una volta per tutte, come quello della fata bella e buona. La fata turchina originale, dunque, è una figura che muore, cresce e si trasforma. Non si definisce in base ad un unico ruolo ma si contraddistingue per la volontà di appartenere a sé stessa, anche nel cambiamento. Ed è ancora più interessante sottolineare questa novità considerando che Collodi scrisse la storia di Pinocchio nel 1881. A quell’epoca, infatti, la donna era definita soltanto in base alla figura maschile cui apparteneva…figlia di «Tizio» o moglie di «Caio».
Oggi questa storia ci racconta di una figura che a volte è fantastica ma altre volte così tanto reale da provocare la sofferenza, così tanto umana da sbagliare, criticare, perdonare, fuggire…e quali azioni sono più umane di queste? Ed è altrettanto importante raccontarla e ricordarla perché essa non rappresenta un’amante, una donna da salvare, una figlia o una madre: lei è piuttosto un sogno, un’energia trasformatrice, un essere che non si sottopone a norme che limitano la sua personalità. L’inaspettata e originale fata turchina racconta la necessità umana e quotidiana di evolversi. Non mi resta che dire… evviva la fata dai lunghi capelli blu!
Gianluca
L’essenza della prima, la vera fata, di quel meraviglioso contesto narrativo sta a simboleggiare semplicemente la Vita, sempre diversa, imprevedibile forse anche imparziale, cerca di insegnare ciò che possiamo ottenere grazie alle nostre scelte. Non approvo quella luce dolcissima e azzurra descritta successivamente